L'impresa più ardua nello scrivere recensioni è (senza dubbio) il riuscire a cogliere e trasportare con parole proprie ciò che rende speciale un opera: perché quando leggiamo un certo libro sfogliamo pagine come forsennati mentre con altri non andiamo al di là del primo capitolo? Perché vediamo e rivediamo un determinato film più e più volte mentre altre pellicole vorremmo bruciarle a fine proiezione? Cosa rende unica una storia e cosa ce la fa amare?
Sicuramente stile, genere e ambientazione sono chiavi di volta che ci rendono più o meno facile il varcare la soglia del fantastico, tanto come la struttura narrativa, le costruzioni periodiche e la trasposizione delle immagini sono le architravi che tengono in piedi il cancello che separa il mondo materiale dal piano immateriale. Ora, proviamo per un secondo a scordarci le cose elencate poc'anzi, scordiamoci di tutte le strutture e gli schemi, scordiamoci pure verosimiglianza, coerenza narrativa, approfondimento psicologico dei personaggi e trama. Dico scordiamoceli perché Nipur è un fumetto dalle indubbie qualità tecniche che (a quasi cinquant'anni dalla prima pubblicazione) è inutile stare a rimarcare. Quindi colgo l'occasione per inaugurare una nuova rubrica, fatta di recensioni brevi e mirate che non si perdono in sproloqui conditi da paroloni e paroline che tanto somigliano ad una masturbazione infinita e pare che il recensore stia lì a menarsi il pappagurgio oggi volta che coglie una citazione, una sfumatura, una tecnica narrativa e un concetto, terminante con l'orgasmico voto finale (in casa mia i SupeRagni).
Le recensioni dettagliate con voto finale continuerò a scriverle, ma MAI sulla rubrica Dritto al Punto, ciò ovviamente non escluderà che alcune opere di Dritto al Punto vengano trattate in maniera più approfondita o viceversa, anzi, sarà sicuramente così.
Scusate le doverosa premesse, metto subito la parola fine a questo ignobile turpiloquio onanista e vado Dritto al Punto.
Il punto è che, la grandezza di Nippur sta nel presentare una storia totalmente priva di elementi magici e fantastici, benché le vicende narrate si svolgono in epoche e luoghi che siamo soliti conoscere attraverso miti e leggende, ed è proprio la minuziosa storicizzazione di usi, costumi e ambienti che trasmuta semplici eventi in momenti epici e memorabili. Così che, il ritrovamento di un oasi nel deserto suona come l'arrivo in terra santa, il combattimento contro guerrieri alti due metri rivaleggia con un invasione di Galactus e le belle donne acquistano il potere di schiavizzare gli uomini più deboli.
Il mito che si fa storia e la storia che (tramite l'arte) ritorna ad essere mito.
L'artificio di Robin Wood trova la sua magnificenza nella rappresentazione delle ignote (oscure/indefinite) leggende del tempo che fu rilette con gli occhi della verità. In Nippur le "pozioni magiche" sono droghe, i "centauri" uomini che vivono in sella ai cavalli e la voce degli dei viene dai sacerdoti che amplificano le proprie parole con subdoli trucchi di riverbero.
Nippur è maestro di spada nel senso più vero della parola (la spada con cui scindiamo le ombre dell'ignoranza che arrestano il progresso umano) ed è proprio grazie alla spada che Wood mette in gioco (e noi possiamo vedere e cogliere) i lati più profondi della natura umana che, nella maggior parte dei casi, è gretta, violenta e dominatrice, ma che è anche (come Nippur) generosa e capace di imprese sovrumane e disinteressate. Con la lettura di Nippur lo spirito si eleva oltre l'impossibile, perché ogni storia è talmente profonda e realistica che spinge inesorabilmente ad una attenta riflessione, il bianco e il nero si mischiano, cozzano come spada e scudo, tornano al loro posto a parti invertite solo per farci vedere la limitatezza delle percezioni umane (acor più dell'uomo occidentale) e sopratutto per spingerci a riflettere su temi come vita, morte, libertà e autodeterminazione con Nippur, grande maestro, che ci ricorda sempre come volontà e intelligenza (bastone e spada) siano armi pericolose o inutili senza un cuore buono che le sappia padroneggiare.
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